Quando fu proclamato re d’Italia, il 17 marzo 1861, Vittorio Emanuele II era vedovo da alcuni anni. La moglie, Maria Adelaide di Asburgo-Lorena, figlia di una zia paterna e quindi sua cugina, nata nel 1822 e sposata nel 1842, era morta nel 1855, dopo avergli dato otto figli, cinque dei quali sopravvissuti.
Un numero imprecisato di figli Vittorio Emanuele ebbe da numerose relazioni più o meno occasionali con donne di ogni età, condizione sociale e stato civile, tanto che già i contemporanei ironizzavano ampiamente sull’appellativo di ‘padre della patria’ attribuitogli dopo l’unità d’Italia.
Nei confronti di questi figli Vittorio Emanuele fu, in qualche modo, padre scrupoloso. Li riconobbe abitualmente, facendoli registrare all’anagrafe col cognome Guerrieri o Guerriero, li aiutava economicamente, se del caso, e si informava con regolarità sulla loro vita, dimostrando interesse e buona memoria per ricordarli tutti.
La Bella Rosina
Tra le tante avventure che ebbe, ad una rimase costante, se non fedele, per tutta la vita. Quella con Rosa Vercellana, più nota come la Bella Rosina (la Bela Rosin in piemontese).
Figlia di un militare di carriera, Rosa Vercellana conobbe Vittorio Emanuele per la prima volta nel 1847 quando lui aveva 27 anni e lei 14, anche se ne dimostrava di più. La conoscenza fu abbastanza approfondita, tanto che nel dicembre dell’anno dopo Rosa Vercellana partorì una figlia che venne chiamata Vittoria Guerrieri. Un altro figlio, Emanuele (non grande fantasia nei nomi), nacque nel 1851, quando il padre era già diventato re di Sardegna, dopo l’abdicazione di Carlo Alberto, il 23 marzo 1849.
Da sovrano, Vittorio Emanuele fece trasferire Rosa in un alloggio nel parco di Stupinigi dimostrando, a dir poco, scarso tatto, dal momento che nel castello risiedeva la moglie legittima cui a volte capitava di incontrare i figli di Rosa. Questa sistemazione non contribuì certamente a migliorare i rapporti di Rosa con la corte alla quale era già invisa per le forme abbondanti, lo scarso buon gusto ed i modi popolani. Tutti elementi che invece il re apprezzava, così come la cucina di Rosa, semplice ma sostanziosa e innaffiata, va da sé, da buon vino piemontese.
Contessa di Mirafiori e Fontanafredda
La storia ha tramandato la ricetta delle ‘uova alla Bella Rosina’. In buona sostanza, uova sode tritate e servite con prezzemolo e olio.
In ogni caso, dopo la morte della moglie, il re attribuì a Rosa il titolo di contessa di Mirafiori e Fontanafredda (1858).
Con l’unità d’Italia ed il successivo spostamento della capitale prima a Firenze (1865) e poi a Roma (1870) anche Rosa si trasferisce per stare vicina al re, risiedendo nella villa La Petraia a Firenze e a villa Mirafiori, sulla Nomentana, a Roma costruita appositamente per lei e ora sede della facoltà di filosofia dell’università La Sapienza.
Nel 1869, nella tenuta di san Rossore presso Pisa, Vittorio Emanuele si ammala gravemente, tanto che gli viene impartita l’estrema unzione. In queste condizioni decide di legalizzare la propria unione con Rosa, sposandola col solo rito religioso.
Rosa Vercellana si sposa con Vittorio Emanuele II
Si tratta di un matrimonio morganatico. A Rosa non viene riconosciuto il titolo di regina, ai figli nessuna pretesa di eventuale successione al trono. In effetti il limite riguarda solo Emanuele Guerrieri, in quanto i Savoia rispettavano la cosiddetta ‘legge salica’ che attribuiva la successione ai soli eredi maschi e, all’epoca, Vittorio Emanuele aveva due figli legittimi viventi, Umberto, nato nel 1844, che gli succederà come re d’Italia, e Amedeo, nato nel 1845.
Il re, che per fortuna si riprese, fece giusto in tempo a celebrare il matrimonio religioso perché l’anno dopo sarà scomunicato da Pio IX per aver posto fine al potere temporale dei papi. La scomunica gli sarà tolta solo in punto di morte.
Nel 1877 il re si ammala nuovamente e decide di completare l’opera sposando Rosa Vercellana anche con rito civile. Questa volta il malanno è più grave tanto che poco dopo il matrimonio Vittorio Emanuele muore, il 9 gennaio 1978, a 58 anni non compiuti. La corte, ed il governo, impediscono a Rosa Vercellana di assistere il marito anche nelle ultime ore di vita.
Il re viene sepolto a Roma, nella basilica del Pantheon, mentre Rosa si ritira a Pisa, a palazzo Feltrami, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria, e dove muore il 26 dicembre 1885, a 52 anni.
Il mausoleo a Rosa Vercellana
Alla sua morte, Vittoria ed Emanuele Guerrieri chiedono che la madre sia sepolta accanto al marito nel Pantheon, ottenendo il secco rifiuto di Umberto I. Decidono allora di far costruire a Torino un monumento funebre alla madre che riprende, in scala, le forme della chiesa romana e che sarà chiamato il ‘Mausoleo della bella Rosina’. Qui la salma di Rosa Vercellana rimane fino al 1972 quando, anche a seguito di alcuni episodi di vandalismo, viene traslata nel cimitero monumentale del capoluogo piemontese.
Il mausoleo, acquistato e restaurato dal comune di Torino, è ora sede di manifestazioni culturali. Un po’ di ironia della storia, visto che Rosa Vercellana era praticamente analfabeta.