DONATO TIEPPO
Il grande cinema si arreda con la semplicità.
Incontriamo in esclusiva Donato Tieppo, scenografo e arredatore, che lavora in campo televisivo e cinematografico accanto ai più importanti nomi del cinema italiano e internazionale. Inizia la sua carriera con Sandro Bolchi ed Ezio Altieri con i film “Una donna a Venezia”. Un uomo semplice, mai appagato di conoscenza, vive di cinema e ne coglie tutti gli aspetti delle quinte, i costumi, le scenografie e gli arredamenti. La sua professionalità è conosciuta in tutto il mondo.
- Qual è il suo lavoro?
Il mio lavoro è di costruire la scenografia attorno al personaggio. Grazie al lavoro dello scenografo si sceglie la scena e l’arredatore la costruisce. Infatti, non basta la fisionomia dell’attore e la parte che deve rappresentare ma anche l’ambiente in cui è inserito, e l’arredamento lo costruisce per dare al personaggio un carattere.
- Da dove nasce la sua passione?
La mia passiona nasce da quello che non riuscivo a vedere nei film. Mi affascinava questo: “Come potevano fare quelle cose?”. Tutto è nato quando, fin da bambino, guardavo i film alla televisione come “Furia cavallo del West” e “Rin Tin Tin” e volevo sapere quello che non riuscivo a vedere, e non quello che mi facevano vedere loro. Questo l’ho capito dopo anni, mentre la mia passione per l’arredamento è nata da subito. La mia fortuna è stata quella di aver vissuto immerso nelle cose belle. E poi c’era mia nonna! Lei aveva una trattoria a Castelfranco Veneto, ogni tanto cambiava la disposizione dei tavoli e delle sedie e la gente le diceva: “Signora Crista, ha cambiato arredamento?”, e lei mi diceva: “Vedi, la gente non capisce, che sono le stesse cose, sono solo spostate.” - Quali studi ha fatto?
Parto dal fatto che provengo da una famiglia umile, e dopo le scuole dell’obbligo, mi sono messo a lavorare. Ho seguito dei corsi di fotografia alla Dante Alighieri, e poi sono andato a pittare a Milano, quando tutti mi dicevano di non farlo. Ho fatto dei corsi di arredamento, di costume, orientati verso il mondo dello spettacolo, ma questo non era perché volevo entrare nel mondo dello spettacolo, ma solo perché mi piaceva.
- Come è incominciata la sua carriera?
Avevo sempre questa voglia dentro di me, mi andava tutto stretto, ovunque io andassi: Milano, Roma e Firenze, ma mi mancava sempre qualcosa. Grazie a mio fratello ho conosciuto Ezio Altieri, costumista e scenografo, amico di Piero Tosi e Lucchino Visconti che stavano girando un film e così vedendomi pronto e molto incuriosito, mi disse se volevo lavorare con lui: e così è incominciata la mia carriera.
- Qual è stato il suo primo film?
Il primo film cui ho lavorato come costumista e scenografo è “Una donna a Venezia” di Sandro Bolchi, dove il cast è formato da Lea Massari, Anna Galliena, Fernando Rey e Elena Sofia Ricci, al suo primo film.
La mia carriera è iniziata come Auditore – volontario – partecipando a film come “Giorni felici a Clichy” regia di Claude Chabrol del 1990. “Giorni felici a Clichy” è un film drammatico francese, tratto dall’omonimo libro di Henry Miller con Anna Galliena. Sono numerose le pellicole cui ho portato il mio lavoro e mi piace citare “Vajont” di Renzo Martinelli, il film che tratta gli avvenimenti che accompagnarono la costruzione della diga del Vajont ed il disastro nel 1963. La fortuna di aver cominciato come Auditore, volontario, mi ha permesso di vedere dall’interno come prendeva forma una scenografia.
- Come si forma un personaggio cinematografico?
I personaggi di un film sono costruiti in modo tale da dare tutta l’espressività al pubblico: non ci si ferma alla fisionomia dell’attore, alla parte che deve rappresentare ma anche l’ambiente in cui è inserito. L’arredamento si costruisce per dare al personaggio un carattere. La produzione mi da un’ambiente vuoto e io lo riempio con tutte le caratteristiche necessarie per rendere al meglio il set, io scelgo tutto, dalla stoffa delle tende, al tipo di parquet, ai mobili e prima di allestire il tutto, si perfezionano le idee insieme con la produzione.
Ad esempio, in un film girato a Villa Emo, il protagonista doveva essere calato in uno spazio antico e così ho fornito ogni pezzo della scenografia consono allo stile, sia del personaggio sia del film.
- Da dove arriva il successo di un film?
È sempre il pubblico che è il metro: se faccio bene o male il mio lavoro, non è il regista che giudica, ma il pubblico.
- Quali sono le sue più belle soddisfazioni?
La mia più bella soddisfazione è stata quando ho ricevuto il Premio Cinecittà Holding 2007 a Venezia per il film “La sconosciuta” di Giuseppe Tornatore come miglior arredatore, e quando sono stato scelto come giurato per il Movie Film Festival. L’ultimo arredatore che ha ottenuto il Premio Oscar è Bruno Cesari nel 1988 con il film “L’Ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci, poi hanno deciso di dare i premi agli scenografi che dividono il premio con gli arredatori. Se guardiamo i David di Donatello consegnati a Francesco Frigeri, insieme a lui sono l’arredatore e tutt’ora continuo a lavorare con Francesco, in perfetta sintonia.
Non posso non citare mia moglie Nadia, persona gentile e cordiale, che mi ha sempre sostenuto e seguito nel mio lavoro, incoraggiandomi e aiutandomi nei momenti meno facili.