Marca Aperta Intervista Bruno Pizzul
Sport, cultura e territorio si devono unire come processo educativo fondamentale.
Qual è stata la sua massima soddisfazione nella vita professionale e perché?
Non è facile da dire, anche se andando indietro con la memoria uno dei momenti più emozionanti e gratificanti a livello personale è stato quando da ragazzino (avrò avuto tra i 15 e i 16 anni) venni scelto dalla squadra del paese, la Cormonese, per giocare in prima squadra. Si trattava quindi di giocare con quelli che allora facevano il campionato di Promozione, ossia con persone più “anziane” ed esperte di me. Per me l’orgoglio di indossare la maglia della Cormonese fu particolarmente importante. Nella vita ho avuto poi altre soddisfazioni anche quando ho giocato a calcio in squadre più importanti, ma il senso di appartenenza alle radici paesane fu decisamente emozionante.
Tanti riconoscimenti, ce n’è uno anche questa estate?
Credo che si sia attivato Vincenzo Munaro, che è un vulcano di idee. Lui che è un Alpagotto trapiantato a Grado, si è attivato per farmi avere un riconoscimento dalla provincia di Gorizia proprio a Grado, località in cui si è fermato spesso e volentieri, e dove io mi reco di sovente come sbocco al mare… Sarà una sorpresa!
Quali sono le emozioni da calciatore e poi da giornalista e telecronista?
Io credo che lo sport in tutte quelle che sono le sue manifestazioni valga perché trasmette emozioni in chi lo pratica, in chi lo segue e naturalmente in chi lo racconta. Ho detto prima, la mia massima emozione è stata quando ho indossato la maglia della squadra di calcio della Cormonese. Come giornalista una grande emozione l’ho provata quando sono stato mandato- ero stato da poco assunto- a fare il telecronista ai mondiali di calcio del Messico del 1970. Appena giunto sul posto, io che fino a quel momento non avevo mai pensato di fare il giornalista, ho ovviamente avuto un impatto emotivo molto forte.
Emozioni, ma anche delusioni fortissime, come per esempio quando sono stato inviato a Bruxelles per raccontare una partita di calcio e invece mi sono trovato a raccontare una tragica serata, con quindi tutta una serie di situazioni emotive spesso contradditorie tra loro ma che hanno testimoniato una serie di circostanze nelle quali mi sono venuto a trovare molto coinvolto.
Il Friuli cosa sta dando e cosa può ancora dare alle persone?
È una terra che ovviamente a me capita di guardare con occhio privilegiato perché è la mia terra. Una terra nella quale si continua a vivere ancora secondo ritmi che sono abbastanza umani. Io che sono abituato alle frenesie di una grande città come Milano, o di altri grandi posti dove tutti sono affaccendati e si rincorrono e la frase che usano più frequentemente è: “Non ho tempo”, e non si capisce perché non hanno tempo. Nel Friuli, invece, c’è un ritmo di vita abbastanza tranquillo e in chiave enogastronomica la qualità della vita è molto buona.
È una zona che ha dato molto sul piano di quelle che erano le tradizioni, gente che ama il lavoro, ma trova ancora la voglia di divertirsi e stare insieme, e più che altrove trova difficoltà nel gap generazionale. Le nuove generazioni con quelle un po’ più anziane, non dico che non vanno d’accordo, ma stentano a entrare nella stessa lunghezza d’onda anche perché ovviamente il mondo cambia cambiano anche i valori e non ci sono più quelli che venivano acquisiti materialmente: ad oggi non c’è un’osmosi facile fra le generazioni.
Cultura, territorio e sport si possono unire?
Si devono unire. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che sono tre valori di fondamentale importanza per quanto riguarda il processo educativo. Noi viviamo in un momento di emergenza educativa.
Dobbiamo per forza recuperare quelle che sono le possibilità di fare educazione e preparare soprattutto i giovani attraverso l’insegnamento. Non è facile trovare quegli strumenti che una volta erano quasi naturali nella scuola e nella famiglia, oggigiorno invece ci sono queste cosiddette “Agenzie Educative” ancora praticabili tra le quali c’è sicuramente lo sport che, se fatto, praticato e gestito nella giusta maniera insegna soprattutto il rispetto delle regole perché ogni disciplina ha le sue regole che vanno osservate. Dato che lo sport nasce dal gioco è più facile abituarsi a rispettare le regole giocando e quindi divertendosi invece che con l’imposizione che può venire dalla scuola dalla famiglia. L’arte poi, è un qualcosa che nutre quello che c’è di spirituale dentro di noi e quindi è un terreno naturalmente portato a migliorarci e a farci apprezzare le cose che non siano strettamente legate al materialismo imperante che invece domina nei nostri giorni. Sono quindi tutti fattori che tra si legano tra loro, compresa quella che è la tradizionale cultura di un territorio- il Friuli per esempio- che, anche se ha avuto delle evoluzioni, ha ancora imperniata una cultura contadina che si sposa molto bene con il processo educativo.
Ci parli del suo rapporto di amicizia con Munaro.
Munaro è un personaggio incredibile è effervescente, apparentamente sempre un po’ sopra alle righe perché dotato di questo suo entusiasmo, di voglia di fare, ed ha una capacità di coinvolgere un po’ tutti. Al di là delle caratteristiche della sua dirompente personalità, un maestro dell’arte non solo della pittura e scultura, perché lui ha una profonda conoscenza culturale anche per avere maturato il suo processo di miglioramento artistico attraverso gli studi e attraverso frequentazioni di amicizie e situazioni artistiche importanti. Ha fatto moltissimo e fa molto anche rispetto a quelli che sono i territori che ha vissuto, il bellunese e Grado, località che lui ha posto come bandiera della bellezza, montagna e mare. È un personaggio interessantissimo, una cara persona, e il rapporto intenso con la moglie lo ha legato ancora di più a Grado.