Questa non è una storia facile da raccontare, perché costringe a porsi mille domande – Perché? Cosa avrei fatto io al suo posto? Ma era proprio necessario? – ed esigerebbe una spiegazione razionale, un’interpretazione coerente con il contesto storico; insomma, la si vorrebbe capire fino in fondo.
Ma quando si parla di vita, di onore e di morte, certi interrogativi sono destinati a rimanere senza risposta ed è certamente preferibile che il narratore si limiti a raccontare i fatti, magari anche in modo asettico, lasciando al lettore il difficile compito dell’interpretazione.
Il 16 giugno 1918 sul Montello pioviggina, le uniformi non si asciugano e i fucili si inceppano.
E’ il secondo giorno della grande offensiva austriaca, la pressione degli imperiali non accenna a diminuire, ma la linea italiana, pur vacillando, non cede.
A est, la lotta si concentra nei pressi dell’abitato di Nervesa della Battaglia, mentre al centro si combatte aspramente intorno al leggendario caposaldo di Casa Serena, che si trova in corrispondenza dell’incrocio tra la Strada Panoramica e la Presa n.VIII, che sale verso la frazione di SS. Angeli.
Nella zona di Casa Serena sono schierate le truppe del 45° Reggimento Fanteria e, in particolare, la Nona Compagnia, comandata dal Capitano Eligio Porcu.
Eligio Porcu – La storia militare
Eligio Porcu (nato a Quartu Sant’Elena il 19 dicembre 1894) è un soldato di provato valore, che ha iniziato la guerra da sergente ed è giunto al grado di capitano, distinguendosi nei combattimenti in alta montagna nel settore delle Dolomiti, e successivamente nel Carso, dove partecipa alla presa di Gorizia il 9 agosto 1916.
E’ il classico tipo di combattente che non si tira mai indietro, qualunque sia la situazione che si trova a dover fronteggiare; il suo personale credo non prevede la possibilità della ritirata.
Nonostante ciò, è riuscito a sopravvivere ai sanguinosi combattimenti del Col di Lana (situato in Comune di Belluno, tra la Valle del Cordevole e il Passo Falzarego, non a caso denominato “Col di Sangue”, visto che vi perirono non meno di ottomila uomini nel giro di pochi mesi), del Monte Podgora sul Carso goriziano e del Monte Grappa, durante la Battaglia d’Arresto, che tra novembre e dicembre 1917 vide gli italiani bloccare definitivamente l’offensiva austriaca iniziata a Caporetto.
Che a queste battaglie non abbia partecipato da comprimario ma da primattore, è attestato dalle numerose ferite patite e dal suo eccellente stato di servizio: oltre alle citate promozioni per merito di guerra – già di per sé eventi notevoli, nell’ambito del Regio Esercito, all’epoca profondamente classista – è stato decorato per ben due volte, la prima nel luglio 1916 con la Croce Belga e la seconda nel gennaio 1918, con la prestigiosa Medaglia d’Argento al valor militare, conferitagli per l’eccezionale coraggio dimostrato durante i disperati combattimenti del mese precedente sul Monte Grappa.
E allora, probabilmente è davvero tutto scritto, se un uomo come lui viene destinato al settore del Montello dove più acerrima sarà la lotta e dove la superiorità numerica degli attaccanti austroungarici si esprimerà in un rapporto di sei a uno sui difensori italiani.
Sotto una pioggia battente, gli uomini del 45° fanteria combattono furiosamente per impedire la conquista di Casa Serena; le perdite sono paurose, impossibile andare avanti così e la linea, di conseguenza, tra il 15 e il 16 giugno ondeggia tra Casa Serena e l’abitato di Santi Angeli, con il caposaldo ridotto a un cumulo di macerie, che viene perso e ripreso diverse volte.
Il 16, gli Imperiali spingono l’attacco a fondo e costringono gli italiani ad arretrare ancora una volta sino a Santi Angeli.
La Nona Compagnia e il suo Comandante combattono nei campi attorno a Casa Rossa, dove vengono circondati.
Il triste epilogo
Fedele a sé stesso, Eligio non considera neppure l’ipotesi della resa e tenta il tutto per tutto per spezzare l’accerchiamento, attaccando alla baionetta: la Nona Compagnia viene annientata e lui ferito a una gamba; a quel punto, come racconterà in seguito un testimone oculare (il soldato Attilio Imoli, nativo di Santi Angeli), mentre giace sotto un noce, egli osserva i cadaveri dei suoi uomini e dopo aver esclamato “Povera la mia compagnia!”, si spara un colpo alla tempia e crolla esanime.
Come dicevamo, è impossibile per noi moderni e fortunatamente non coinvolti in un conflitto comprendere un gesto tanto estremo, che perciò non tenteremo nemmeno di commentare; il lettore potrà farsi un idea personale, traendo spunto da ciò che Eligio scrisse in una lettera alla famiglia: “Prigioniero mai, mai! Mi saprete morto, mi piangerete eroe forse, ma a nessun costo vile!”.