LO SGUARDO CHE COGLIE L’ESSENZA
Come si crea un personaggio per uno spettacolo teatrale? Come nasce l’idea dietro alla maschera? Ce lo spiega Marco Cadorin, noto attore, attraverso la storia della nascita di uno dei suoi più famosi personaggi: Berto l’ubriaco
Fin da piccolo ho avuto il bisogno quasi fisiologico di divertire, e indossare qualsiasi cosa trovassi nello sgabuzzino di fianco alla cucina, andava bene per trasformarmi in un qualche personaggio.
Il pubblico era al di là della tenda che divideva i due locali: i miei genitori, mio fratello, mia sorella, i nonni e lo zio. Quest’ultimo mi assecondava facendo il presentatore, quando ero pronto richiamava l’attenzione con un italiano ricercato, nel senso che, parlando in dialetto, cercava e ricercava le parole “italcamp” che più si adattavano. Così facendo, involontariamente, mi insegnava la parlata che era d’uso ai non più giovani, nelle famiglie contadine di allora, dove “l’università dei campi” rubava il tempo alle elementari.
“Il microfono? Ovviamente un grande imbuto!”. Quello d’uso per travasare il vino, e forse quei reconditi sentori che impregnavano “l’impiria” già suggerivano il mio primo vero personaggio: “Berto l’ubriaco”.
In quelle sere nessuna costruzione, nè canovaccio, nè trama, ma solo il desiderio di vedere la mia famiglia sorridere, o meglio ridere, di cosa poi non me lo ricordo. Certo è che il vero clown era lo zio, che per far ridere noi bambini si calava nei panni di un buffo istrione, la vera star in quel palcoscenico che era la cucina.
Ho ancora in mente i nomi di alcuni cultori divini, “bianchi e rossi“, che in quel periodo “bazzicavano” l’osteria vicino a casa… Il loro passo sicuro, veloce, spensierato e allegro dell’andata, e il lento intercedere del ritorno, diversamente cadenzato a seconda del numero delle “ombre traccannate”.
Mi piaceva osservare i movimenti che “goto dopo goto” diventavano sempre più goffi, e pensando all’effetto del vino, trovavo “biomeccanicamente” logici, ovvi, l’anatomia aveva un senso delle regole prestabilite, e mancando ogni momento di più la correlazione tra le varie parti del corpo, queste cominciavano sempre più ad essere autonome, non più in sincronia.
L’atleta del gomito alzato
Interessante allo stesso modo quel regredire cognitivo al quale non c’era scampo per nessun atleta del “gomito alzato”. Le prime tre “ombre” passavano assolutamente in incognito, la quarta senza lode e senza infamia, era la quinta che si presentava come primitiva chiave di volta, e qui scattava il meccanismo del “sono perfettamente lucido“, per cui i discorsi diventavano profondi, il dialetto si trasformava in “italcamp“, e la lingua “mmm”, cominciava a legarsi trascinando le parole.
La sesta “ombra” accentuava ciò che la settima decretava: “Se passa a tormi mia femena o il tosatto bon, se no chi se ferma… qua le guera impiantata e guai chi si ritira“. Però bisognava attendere la boa del litro e mezzo, superata quella si notava ciò che la chimica spiega e in natura avviene anche nelle osterie, il passaggio dallo stato solido a quello liquido della coscienza… un viaggio verso l’oblio alcolico che tutto rende matematicamente effimero.
Quel viaggio continua anche adesso, nulla è cambiato, osservavo da bambino divertito allora, e la stessa cosa faccio oggi, forse con gli stessi occhi attenti a cogliere l’essenza del gesto, il movimento da trasferire a “Berto l’ubriaco”, che resta uno dei miei personaggi più riusciti.
Come si crea un personaggio: L’ubriaco a 360° gradi
Parecchio tempo fa, ad una festa in famiglia, mi sono cimentato in una specie di lezione su “l’ubriaco a 360 gradi”, cercando di spiegare ciò che negli anni avevo compreso, quasi uno studio approfondito dell’attore, con spiegazioni “anatomicodinamiche”, motivando in maniera pseudoscientifica i perché di quel processo motorio, seguiti poi dalla dimostrazione pratica. Il Risultato? Due ore di risate con tutti che dicevano “cavolo è vero, è proprio cosi“. Credo sia fondamentale, per chi come me, si diletta in maniera amatoriale a stare sopra un palcoscenico, prendere spunto dalla realtà per dar vita a qualsiasi personaggio, perché riguardando le pagine del nostro vissuto, ogni parola è già stata detta, ogni gesto già stato fatto, noi piccoli attori, dobbiamo solo cercare di imitarlo.