Curiosità sul Caffè Pedrocchi di Padova
In passato, ma ancora oggi, molte persone ed anche gli stessi padovani considerano il Caffè Pedrocchi un luogo da evitare destinato solamente all’alta società, invece no, è un patrimonio della città da frequentare e difendere anche perché è proprio di proprietà del Comune e quindi di tutti i cittadini.
L’imbarazzo, dovuto forse al non sentirsi adeguati a frequentare il Caffè, potrebbe passarvi del tutto se considerate che è stato voluto aperto a tutti anche a studenti squattrinati che potevano fermarsi senza consumare nella Sala Verde per bere un bicchiere d’acqua e leggere il giornale. Sembra nasca da qui il detto “restare al verde”, ed io che pensavo c’entrasse con i dollari!
Le sale del Pedrocchi sono dipinte nei colori del tricolore ed ancora oggi la Sala Verde è a disposizione per conversare e sedersi senza obbligo di consumazione.
All’architetto veneziano Giuseppe Jappelli di fama internazionale Antonio Pedrocchi affidò nel 1826 la realizzazione di una vera e propria struttura architettonica dove produrre, conservare e degustare il caffè, bevanda che, dall’ottocento, aveva iniziato ad esser sempre più consumata dando inizio a quella vera e propria moda che ancor oggi accompagna le nostre giornate.
Il caffè Pedrocchi e i moti risorgimentali
In breve tempo il Caffè Pedrocchi divenne famoso sia perché frequentato da letterati, artisti, studenti, accademici e uomini politici sia per l’importanza storica del locale dovuta al ferimento al suo interno di uno studente universitario l’8 febbraio 1848 durante i moti risorgimentali che sono ancora oggi ricordati nell’inno ufficiale universitario.
In poco tempo il Pedrocchi divenne uno dei più rinomati Caffè letterari italiani dell’ottocento.
Le star del Caffè Pedrocchi
Fra i frequentatori più famosi vanno ricordati Eleonora Duse, il futurista Marinetti, D’Annunzio, Balzac e Stendhal il quale amava degustare lo zabaione a cui è stato dato il suo nome.
Sotto al Caffè Pedrocchi vi sono probabilmente le rovine di quello che fu il foro di Patavium romana ed esposti al Museo Civico di Padova troviamo colonne e altri resti architettonici rinvenuti durante gli scavi.
Lo stabile progettato da Giuseppe Jappelli, aderente alla Massoneria e convinto sostenitore degli ideali illuministi ha due chiavi di lettura nella decorazione del piano nobile superiore: quella massonica esoterica o quella romantica in cui gli stili del passato rivisitati nelle otto sale a tema diverso rievocano scenari dell’arte etrusca, greca, romana, rinascimentale, ercolana, napoleonica (o Sala Rossini), egizia e moresca.
Ma com’è che il Caffè Pedrocchi divenne proprietà del Comune?
Morto Antonio nel 1852 la proprietà passò per suo volere al figlio di uno dei suoi garzoni, certo Domenico Cappelato che fu “adottato” il quale, a sua volta, lasciò nel 1891 questo testamento: “Faccio obbligo solenne e imperituro al Comune di Padova di conservare in perpetuo, oltre la proprietà, l’uso dello Stabilimento come trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi mettendolo al livello di questi e nulla tralasciando onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia”.
Una bella storia di imprenditoria ma anche di amore per la vita della città quella del Caffè Pedrocchi di Padova con questo gesto ultimo dello stesso Domenico Cappellato Pedrocchi.