Archeologia industriale del vicentino fra la val Leogra e la val d’Astico
Ai piedi dell’altopiano dei Sette Comuni, scendendo a valle, possiamo suddividere il territorio in due fasce orizzontali fra i torrenti Leogra e Astico.
La prima fascia precollinare a carattere più residenziale la possiamo definire zona di villeggiatura dove il verde della natura nasconde alla vista le mirabili ville signorili, elemento paesaggistico di maggior interesse.
Più in basso, geograficamente parlando, si trovano esempi del “capitalismo industriale” che, attorno agli inizi del secolo scorso, hanno trasformato la morfologia e la vita delle zone ed ora, spesso abbandonati, lasciano nel territorio importanti esempi di archeologia industriale.
Archeologia Industriale
Per archeologia industriale si intende anche quel genere di edificazione, generalmente imponente ma non sempre invadente, destinata all’industria non pesante quali setifici, lanifici, filande, industrie tessili ecc. Altra protagonista dell’archeologia industriale è la macchina. Nonostante la sua costante presenza in tutti i momenti della vita industriale essa è meno percepibile sul territorio, anche se ne è stata il principale strumento di trasformazione.
La fabbrica e la macchina perciò in quanto parte di un sistema che ha modificato storicamente, socialmente ed economicamente il territorio e lo stesso paesaggio che, perduta la qualifica di naturale, assume appunto quella di industriale.
Sintesi tra la civiltà rurale e quella industriale, l’attività serica, legata alla gelsicoltura, si sviluppò tra la fine del settecento e il primo novecento nella pianura disegnata dal fiume Leogra.
Una costellazione di filande tra Schio, S.Vito di Leguzzano, Malo, Marano, Isola Vicentina, ecc.vennero costruite e la zona di produzione divenne famosa nel mondo.
La Filanda Maule-Massignon di Malò
Una di queste filande-setificio, la Filanda Maule-Massignon di Malò del primo 900, è ancora intatta benché in disuso.
Il volume della costruzione principale è costituito dal lunghissimo e basso capannone, così come vuole la tradizione della forma industriale, in laterizio e pietra locale, sormontato dal tetto a capriata lignea a due spioventi sul quale si erge la tipica ciminiera in cotto. Le grandi e numerose finestre sono pensate per illuminare ottimamente l’interno luminoso e lo spazio è ampio e ben strutturato per accogliere le macchine per la produzione.
La filanda era dotata di moderne tecnologie che consentivano l’impiego di soltanto 50 operaie, poiché una sola lavorante poteva seguire contemporaneamente 10 bacinelle . Cessata l’attività nel 1976, l’opificio è stato svuotato dei suoi macchinari ed ora è abbandonato.
La lavorazione della seta fu promossa fin dal Settecento dagli stessi possidenti agrari che favorivano la coltivazione del gelso e la trattura casalinga, facendosi poi carico della filatura, della tessitura e del commercio del prodotto .
Le prime strutture edilizie che si prestarono ad ospitarla furono le barchesse delle ville signorili e le tezze delle case coloniche. Ogni famiglia contadina divenne un “piccolo laboratorio”, dove era soprattutto la donna ad allevare il baco, a seguirlo nelle varie mute, a procurargli il bosco e a rinnovarlo, a eliminare I bozzoli putridi e a immergere le mani nell’acqua bollente delle bacinelle per liberare il filo dalla sericina, avvolgendolo negli aspi tramite la molinella.
Fu la rivoluzione industriale e, principalmente, con l’impiego dell’energia a vapore a dare impulso per la costruzione di veri e propri opifici dalle tipiche ciminiere in cotto, caratterizzati dalle numerose finestre ad arco o rettangolari con vetrate intelaiate in ferro e articolati in diversi corpi che si aprivano su una o più corti per favorire lo spostamento interno degli oggetti e delle persone.
La Filanda
La filanda, inizialmente nata per la trattura e perciò sviluppata in orizzontale su uno o due piani, divenne pure filatoio e in certi casi ospitò la tessitura, elevandosi su tre o quattro piani.
La trattura comporta a sua volta alcune operazioni, e cioè la macerazione, che ha lo scopo di rammollire lo strato esterno del bozzolo per agevolare la successiva scopinatura con cui si cercano i capi delle bave, e la trattura propriamente detta, in cui le bave riunite in un certo numero (secondo il titolo desiderato), vengono saldate insieme formando il filo di seta greggia o crudache si avvolge intorno agli aspi, per farne poi delle matasse.
Con l’affermarsi delle sete orientali e delle fibre sintetiche, l’attività serica della Val Leogra decadde progressivamente, causando la chiusura e spesso la scomparsa di molte significative strutture(edifici, macchinari, ecc), ma ne rimane ancora testimonianza in cospicue architetture, diffuse in prevalenza nel tratto Schio – Malo – Marano, nella memoria degli anziani, nei canti popolari, nei proverbi e nel lessico familiare.