Vincenzo Munaro: L’arte come stile di vita
L’incontro con un uomo ricco di esperienze e di rara umanità. Il dolore, l’aspirazione e la gioia di unire le essenze di mondi opposti: le montagne ed il mare.
Chi è Vincenzo Munaro?
Vincenzo Munaro è un “Alpagotto” che nasce nel 1947 in quella zona così particolare del bellunese. Ho frequentato le scuole dell’obbligo e poi spinto da una forte volontà, ho seguito la mia grande passione per l’arte, difficile in quei tempi da coltivare e portare avanti. Però questa forte volontà mi ha permesso piano piano di prendere il treno dall’Alpagoe andare a Venezia.
Perché Venezia?
Perché il Liceo artistico mi affascinava insieme all’Accademia, anche se mio padre diceva: “Ma, no, vai a fare una scuola professionale perché c’è da lavorare” e poi: “Ma che ti mando a Venezia che muori di fame a fare il pittore”. Dato che mio padre faceva il calzolaio non riusciva a darmi un salario, fu mia madre a dirgli di darmi qualcosa. Quindi mi diede ventimila lire e io poi mi arrangiai lavorando sodo e arrivai alle trentamila lire facendo anche il cameriere. Ad ogni modo la cosa più bella fu quando andai in Piazza San Marco e cominciai la mia avventura al Liceo Artistico.
Ci racconti della sua vita a Venezia.
A Venezia ho vissuto dei momenti non facili, perché il liceo era una scuola costosa a causa dei materiali, ma grazie alla mia immensa volontà resistetti, anche perché se avessi chiesto a mio padre altri soldi, mi avrebbe detto di ritornare a casa.
Cosa la portò a Grado?
Il tutto partì dallo Studio che avevo aperto a Belluno. Partii da zero, soldi pochi, ma quando conobbi la donna che sarebbe poi diventata mia moglie tutto cambiò. Ci conoscemmo a Cortina d’Ampezzo in località Codivilla e dopo alcuni mesi poi ci demmo appuntamento a Udine e le dissi: “Se ci sei ci sei , sennò me ne torno a Belluno”. Quando ci incontrammo “quel 12 Ottobre 1968” lei mi chiese: “Tu non hai mai visto Grado?”. Io le risposi di no. Il motivo di questa domanda nasceva dal fatto che a Grado lei trascorreva le vacanze d’infanzia. Io allora scesi a Grado e rimasi folgorato dalla bellezza dell’isola e chiesi subito al Comune di fare una mostra, e il 10 Agosto 1969 feci la prima mostra all’ingresso della spiaggia. Da quell’anno ritornai a Grado tutte le estati e così il continuo movimento da Belluno alla stessa Grado mi ha aiutato a costruire le mie emozioni e a trasformarle in opere.
Come cresce l’artista Munaro?
Dobbiamo fare un passo indietro a quando ero al liceo, imparavo la figura e modellavo, e facevo le mie opere personali come Picasso, oggi invece alla scuola hanno tolto tutto. Il fine settimana abbandonavo il ruolo di studente e andavo a dipingere la mia gente dell’Alpago: gli interni, le figure e la sofferenza, e questa era una pittura che esula dalla formazione. Quando andai a Grado, ripetei le “seppie antiche” che avevo fatto a Belluno, inizialmente sulle caratteristiche di Grado, ma poi cambiai “pelle”.
Dove trova Munaro la sua ispirazione?
Nell’osservazione e nei momenti di pessimismo: soprattutto i momenti negativi, mi danno la carica e quella forza improvvisamente, quando mi viene un’idea la colgo subito. Io potrei rinascere altre dieci volte ma questa è stata la mia vita.
Nella sua vita è stato anche insegnante?
Questo è arrivato dopo, perché se devo essere sincero, vivere di arte è difficile e quindi ho voluto portare avanti la mia aspirazione, e solo successivamente diventare insegnante, perché se avessi fatto subito l’insegnante non avrei fatto questo mestiere. La mia grande soddisfazione è quella che solo pochi vivono di arte, salvo caposaldi, Murer e altri, ma io sono uno dei pochi che riesce a farlo. Dopo ho fatto l’insegnate, ma non ero un’insegnante semplice, facevo affreschi, disegni, e questo per coinvolgere gli studenti nell’arte.
Quindi i suoi studenti non si annoiavano?
Gli studenti si annoiavano quando facevo l’insegnante “canonico”. Io darei un suggerimento al Ministero dell’Istruzione, ossia che ci devono essere gli artisti per dare nuova linfa all’insegnamento ed è pazzesco che sia stata abolita la storia dell’arte come materia, quell’arte che ci ha contraddistinto in duemila anni.
Quali sono stati i momenti più belli della sua vita artistica?
L’incontro con i Papi, il monumento di Umbertide, il primo monumento alla Resistenza. Io non ho vissuto la Resistenza, ma un geometra di Umbertide che ai tempi del Vajont era a Belluno vedendo le mie opere disse che dovevo fare il monumento alla sua città, e questo mi fece molto piacere perché tornai alla scultura.
Ci descriva l’incontro con i Papi.
Il momento con i Papi è indimenticabile. La famiglia Bellunese (i nativi di Belluno che si sono trasferiti a Roma) si avvicinarono alla segreteria di Papa Luciani per festeggiare i dieci anni della formazione della famiglia Bellunese a Roma. Papa Luciani fissò la data dell’udienza, il 25 marzo 1979.
Purtroppo però Papa Luciani morì. Giovanni Paolo II mantenne quella data per l’udienza e in quell’occasione i migranti bellunesi, mi chiesero di preparare un bronzo che io ho consegnato personalmente al Papa. Inoltre mi chiesero poi di trovare alcuni amici pittori e insieme affrescammo il Centro Papa Luciani. Inoltre la cosa più bella che mi capitò, dopo il 1979, fu una mostra nel Battistero di Grado dal titolo: “Papa Luciani e la sua terra” con bassorilievi a tuttotondo.
Lei si sente più pittore o scultore?
Io mi sento più scultore perché quando ero al liceo, quando facevo lezione di “modellato”, al suono della campanella, mentre gli altri andavano a casa, io rimanevo a scuola a modellare perché era una cosa che “catturava”, e poi avendo aperto la galleria e avendo fatto mostre in tutta Europa veniva più spontaneo dipingere, ma rimango convinto, come diceva Marino Marini: “Finché c’è tempo la scultura ti prende ed entri”. Io lo faccio a cicli e ora sono ritornato alla scultura.
Sbagliamo se diciamo che ci sono progetti in corso?
Io conservo tanti aneddoti e racconti ambientati sia a Belluno che a Grado, personaggi, amici, situazioni di cui ho già scritto e o che ho raccolto, e mi sono sempre detto che prima o poi questi aneddoti devono diventare un libro.
Quindi possiamo annunciare in esclusiva l’uscita di un libro scritto da lei?
Mah, direi proprio di si.
Maestro Munaro ci dica perché è andato a Barbana durante il “Perdon de Barbana”?
Io a Barbana sono andato tante volte, ma quest’anno l’occasione era speciale; quest’anno festeggio i 47 anni che vivo a Grado e il ’47 è anche il mio anno di nascita, essendo io nato proprio nel 1947. È stata una bellissima esperienza essere accolto con tutti gli onori durante questa celebrazione.