Aurelio Baruzzi – L’Eroe di Gorizia
Nell’agosto del 1916, il Regio Esercito è ancora in attesa di una chiara e indiscutibile vittoria, che valga a dare un senso agli inauditi massacri patiti nell’arco di quattordici mesi di guerra, durante i quali i modesti risultati ottenuti sul campo appaiono assolutamente sproporzionati, rispetto all’enorme sacrificio compiuto. Un successo senza discussioni servirebbe a risollevare il morale, non solo dell’Esercito, sfiancato dalle sofferenze e depresso dall’inumana disciplina imposta dal Comandante in capo Generale Cadorna, ma dell’Italia intera, che, tutto sommato, la guerra ha finito per subirla, più che sentirla davvero come propria e ancor meno come necessaria.
Obiettivo: Gorizia
A Udine – a quei tempi definita “capitale della guerra”, essendovisi insediato il Comando Supremo dell’Esercito – si pensa che l’obiettivo più realistico sia Gorizia, la cui conquista rappresenterebbe anche un buon colpo dal punto di vista propagandistico, trattandosi della prima città italiana irredenta e capoluogo di provincia ad essere strappata al nemico. Ma tra il dire e il fare, ci sono di mezzo munitissime linee difensive austroungariche, il cui superamento non appare affatto agevole. Come alla vigilia di ciascuna delle undici battaglie offensive dell’Isonzo, anche in questa occasione il Comando Supremo non si sofferma più di tanto sulle difficoltà che l’impresa comporta: l’artiglieria e una enorme massa di fanteria avranno senz’altro ragione delle difese. Quindi, il 6 agosto 1916 si scatena il consueto, imponente, tiro di distruzione dell’artiglieria, al quale fa seguito l’altrettanto consueto assalto dei fanti, di corsa sul terreno scoperto fino alle trincee nemiche. Al solito, le prime fasi della battaglia si traducono in un’atroce ecatombe: le trincee austriache sono state scavate con perizia e in profondità, tanto da essere state solo minimamente danneggiate dal pur pesantissimo bombardamento. Dopo due giorni di assalti ripetuti e migliaia di uomini rimasti sul terreno, Gorizia è a un passo, eppure sembra ancora lontanissima. Ci vuole un’idea, un lampo risolutore che determini – come in un effetto domino- lo sfacelo delle difese della città. Notoriamente, il Comando Supremo sarà avaro di intuizioni per tutta la durata della guerra; le trovate decisive possono giungere solo dalla massa anonima della Gente di Trincea. Ed ecco che quest’idea si materializza: un varco potrebbe essere rappresentato dal sottopassaggio ferroviario di Piedimonte del Podgora, alle porte di Gorizia; una penetrazione in quel punto, potrebbe mettere in crisi l’intero dispositivo difensivo austriaco.
L’ardita idea di Aurelio Baruzzi
A formulare questa brillante ipotesi tattica, non è stato un generale o un ufficiale di stato maggiore, ma un sottotenente di diciannove anni, Aurelio Baruzzi da Lugo di Romagna, conterraneo del più famoso tra tutti gli Eroi della Grande Guerra, Francesco Baracca. Nonostante la giovane età, Aurelio non è un soldatino di primo pelo: si è arruola volontario allo scoppio della guerra e con il 28° Reggimento di fanteria della Brigata “Pavia” vive in prima linea tutta i terribili combattimenti sul fronte carsico, meritandosi una medaglia di bronzo al valor militare, durante la terza Battaglia dell’Isonzo.
Anche nel corso di questa sesta Battaglia, ha già trovato modo di distinguersi, conquistando alcune trincee e ottenendo parecchi prigionieri. Ma qualunque azione abbia compiuto sino a quel momento impallidisce di fronte all’epica impresa dell’otto agosto 1916, in quello che, da allora, diverrà lo storico sottopasso ferroviario “Aurelio Baruzzi”. Tale posizione è già stata attaccata alcune volte, inutilmente e con gravi perdite; Baruzzi pensa di poter sfruttare l’elemento sorpresa, attaccando con pochi uomini che si muovano rapidi. Pertanto, ottenuto dai superiori l’assenso al tentativo, l’8 agosto, insieme a soli quattro uomini, si lancia di corsa in direzione del sottopasso.
La cattura del Sottopasso
Nel breve tragitto, perde subito due uomini, ma non si ferma: giunto all’imbocco, tempesta di bombe a mano l’apertura, disorientando completamente i difensori, che credono di essere attaccati da forze numericamente superiori. È un attimo, ben duecento austriaci si arrendono a Aurelio Baruzzi e ai suoi due uomini superstiti! Da quel momento, trascorrono diverse ore, prima che i rinforzi possano giungere a dargli manforte, dato che le truppe di rincalzo sono bloccate dal fuoco di interdizione; nel frattempo, a suon di urli e spari in aria, i tre soldati italiani riescono a fatica a tenere a bada gli austriaci, che riusciranno poi a consegnare, insieme e a due cannoni, diverse mitragliatrici e una discreta quantità di materiale bellico.
Finalmente Gorizia
Come Aurelio Baruzzi aveva previsto, la cattura del sottopasso di Piedimonte finisce per provocare il collasso della difesa austriaca, così, l’11 agosto, egli può degnamente coronare la sua impresa con un’adeguata appendice: attraversa a nuoto l’Isonzo e si spinge per primo all’interno di Gorizia, fino a issare la bandiera italiana sulle rovine della stazione ferroviaria. L’azione di Gorizia colpisce Re Vittorio Emanuele, che quasi a caldo – il 17 settembre 1916 – conferisce ad Aurelio Baruzzi la Medaglia d’oro al Valor Militare. Dopo le leggendarie giornate dell’agosto del 1916, Aurelio non si siede certo sugli allori, al contrario: si fa trasferire negli Arditi, con i quali combatte sull’insanguinato Altopiano di Asiago e sul Piave, con foga e ardimento tali da guadagnarsi una seconda medaglia di bronzo. Durante la Battaglia del Solstizio, è sul Montello e, per uno strano scherzo del destino, lo stesso 19 giugno 1918, giorno in cui cade il suo compaesano. Francesco Baracca, viene preso prigioniero. Quasi superfluo dire come Baruzzi si rifiuti di rassegnarsi alla prigionia e, nei cinque mesi che separano il Solstizio di giugno 1918 dal trionfo di Vittorio Veneto del novembre, tenti per tre volte la fuga, sia pur inutilmente.
Aurelio Baruzzi dopo la Grande Guerra
Dopo la guerra, ad ulteriore riconoscimento del suo valore, viene chiamato il 28 ottobre 1921 ad Aquileia, insieme ad altri tre decorati di Medaglia d’Oro, a fungere da guardia d’onore a Maria Bergamas, la madre del sotto tenente Antonio Bontempelli, caduto nel 1916 sul Monte Cimone, designata per scegliere tra undici caduti sconosciuti colui che diverrà il Milite Ignoto. Il successivo 4 novembre 1921, Aurelio Baruzzi sarà anche tra gli otto insigniti della massima onorificenza al Valor Militare che trasporteranno a braccia la bara del Milite Ignoto sino al sacello sull’Altare della Patria. Il tenente Aurelio Baruzzi rimarrà nell’esercito, giungendo sino al grado di generale, e si spegnerà serenamente a Roma nel 1985, dopo aver scritto le sue vivide ed emozionanti memorie di guerra, in un’autobiografia in due volumi dall’evocativo titolo “Quel giorno a Gorizia“.