Alessandro Tandura: da Ardito a primo paracadutista sabotatore della storia
Noi Italiani, da sempre, passiamo per essere un popolo assai poco incline all”‘arte della guerra”, un popolo di “santi, poeti e navigatori”, ma certo non di guerrieri. Non c’è dubbio che le ottime prestazioni offerte dai militari italiani durante le diverse missioni internazionali succedutesi negli ultimi vent’anni abbiano almeno in parte costretto parecchi detrattori a rivedere questa opinione; tuttavia, soprattutto in ambiente anglosassone, questo datato stereotipo resiste. Eppure, se si inizia a indagare senza pregiudizi, si può scoprire una miriade di storie italiane di valore e di eroismo, molte delle quali praticamente sconosciute.
Una delle più incredibili – se letta dal punto di vista dell’italiano “poco guerriero” – è quella di Alessandro Tandura, nato a Serravalle di Vittorio Veneto il 17 settembre 1893, tenente degli Arditi e primo paracadutista militare al mondo a essere impegnato in azione. La sua storia di soldato non inizia prestissimo, ma a 21 anni, allorché decide di intraprendere il “mestiere delle armi” e si arruola volontario il 14 settembre 1914, evidentemente consapevole di ciò che accadrà in futuro, visto che la Grande Guerra già infuria sul fronte occidentale da un mese e mezzo. Immediatamente, si rivela essere un ottimo soldato, tanto da meritare nel giro di quattro mesi i gradi di sottufficiale, con la nomina a caporale.
L’inizio della Grande Guerra
L’inizio delle ostilità sul fronte italiano lo vede in prima linea nelle fila del 10 Reggimento di Fanteria “Re”, sul Carso, dove subisce una grave ferita all’avambraccio, che lo terrà lontano dal trincee per quasi un anno, sino al maggio 1916. Evidentemente le sue condizioni di salute non devono essere affatto buone, se nei mesi successivi per ben due volte, viene allontanato dalla zona di guerra e trasferito ai depositi, ovvero nelle retrovie, non senza aver nel frattempo ottenuto una promozione a sergente. Alessandro Tandura appartiene però a quel genere di rari individui, votati all’azione, che considerano un umiliante declassamento l’essere destinati a un porto sicuro quale un magazzino lontano dalle prime linee. Così, nel gennaio 1917, chiede e ottiene di tornare al fronte, dove giunge con il 2200 Reggimento Fanteria “Sile” e dove nuovamente si distingue, al punto da essere scelto per frequentare il Corso di istruzione per Aspiranti Ufficiali dell’Arma di Fanteria. Nominato tenente di complemento nell’ottobre 1917, dopo un mese al fronte, si ammala gravemente e viene ricoverato sino a dicembre, con l’assegnazione di sei mesi di convalescenza (val la pena notare come egli dovesse essere davvero debilitato per meritare una prognosi del genere, in un’epoca nella quale i medici militari facevano di tutto per rispedire in trincea i feriti e i malati nel più breve tempo possibile e l’infermità veniva valutata con grandissimo sospetto dai tribunali militari). La sua natura, ancora una volta, non si smentisce ed egli rinuncia alla convalescenza, senza limitarsi a chiedere di tornare in prima linea; ottiene infatti il trasferimento nel nuovo e già leggendario Corpo degli Arditi e, con il :xx Reparto d’Assalto, partecipa a tutte le azioni nel settore del Basso Piave, compresa l’eliminazione della testa di ponte di Caposile. Dopo mesi di strenui combattimenti, di nuovo e con sua grande insoddisfazione, nel gennaio 1918 viene assegnato al Deposito del Reggimento Fanteria “Novara”; qualche mese dopo, il “contentino” della promozione a Tenente di Complemento e durante l’estate, ad agosto del 1918, l’assegnazione all’Ufficio Informazioni, presso il Comando dell’ Armata.
Una missione segreta
Quando pare ormai che la sua esperienza di soldato di prima linea sia definitivamente conclusa, ecco una clamorosa occasione per tornare all’azione: il comandante dell’Ufficio Informazioni, Tenente Colonnello Dupont, lo fa chiamare e gli chiede senza giri di parole se si senta di offrirsi per una missione segreta oltre il Piave, in territorio nemico, per raccogliere informazioni. Alessandro Tandura accetta, senza sapere che sta per passare alla Storia. Dopo aver vagliato ipotesi alternative, quali l’attraversamento delle linee nemiche travestito da soldato austriaco o il trasporto in aereo, si decide che raggiungerà la Sinistra Piave paracadutandosi da un aereo nella zona di Sarmede, a pochi kilometri di distanza da casa sua; da lì, raggiungerà il Col Visentin, dove stabilirà la base operativa e, mischiandosi alla popolazione, inizierà la sua pericolosissima missione di spionaggio (se dovesse essere catturato e riconosciuto come spia, il suo destino sarebbe la fucilazione). Tandura non nasconde una certa apprensione e ne ha ben d’onde: all’epoca, il paracadute è uno strumento di tutt’altro che comune utilizzo; persino gli aviatori hanno iniziato appena ad usarlo, posto che qualcuno negli alti comandi pensa che ne possa influenzare negativamente la combattività e la baldanza … Addirittura, l’Esercito Italiano non ne possiede affatto: i pochi disponibili sono stati acquistati dagli inglesi e non sono previste prove o lanci d’addestramento, nonostante Tandura ne abbia fatto espressa richiesta, poiché una volta aperto, il paracadute non viene più riutilizzato. Il lancio viene programmato per l’8 agosto 1918 e avverrà da un aereo biposto da bombardamento Savoia Pomilio, per l’occasione pilotato da un asso canadese, il Maggiore Barker, con un altro famoso ufficiale quale navigatore, il Capitano Wedgwood, che dopo la guerra diverrà deputato nel parlamento britannico; eseguito il lancio, l’aereo proseguirà il volo, bombardando alcuni obiettivi, così da dissimulare il reale scopo della missione.
Il lancio e il volo
Quella notte infuria un temporale, che fa smarrire la rotta all’equipaggio; Tandura – seduto su di uno scomodo sedile ribaltabile, collocato di spalle all’equipaggio, con una fune legata sulla schiena a collegarlo al paracadute, situato in uno scomparto sotto la fusoliera – non può fare altro che attendere il momento nel quale il pilota tirerà una leva, aprendo una botola dalla quale egli cadrà nel vuoto: solo allora potrà scoprire se il paracadute funzionerà … Giunti in prossimità di quella che credono essere la zona di lancio – in realtà hanno deviato di parecchio e stanno sorvolando le colline a San Martino di Colle Umberto Umberto – il Maggiore Barker raggiunge la quota prestabilita di 1500 metri e tira la leva, facendo recipitare Tandura nel buio. Le emozioni debbono essere infinite, come egli stesso più tardi racconterà: “Le orecchie sono straziate da un sibilo che mi devasta il cervello. L’incubo dei sogni orribili! Ma subito ho l’impressione di essere sollevato, di tornare in su. Alzo gli occhi e vedo il paracadute aperto. La pioggia mi sferza il viso. Oso guardare in basso e vedo strade e campi che riddano in un ‘altalena infernale. Mi smarrisco, perdo i sensi … È un attimo: ad un tratto, colpito fortemente al petto, mi trovo a terra, con le gambe all’aria. Lanciato nel vuoto da circa 1500 metri di altezza ero caduto in un vigneto, mentre infuriava il temporale”.
I lunghi e pericolosi mesi da spia
Toccata terra, si affretta a raggiungere il vittoriese e inizia la missione. Da quel momento, egli vivrà tre mesi ad altissimo rischio e davvero in mezzo a mille avventure: raccoglierà informazioni sulla composizione dei reparti nemici in zona e radunerà alcuni gruppi di soldati italiani sbandati con i quali porterà a termine azioni di sabotaggio; verrà catturato due volte dagli austriaci e altrettante volte riuscirà a fuggire, la seconda volta addirittura gettandosi da un treno in corsa. Nella sua opera di sabotaggio e raccolta informazioni, verrà coadiuvato dalla sorella Emma Maddalena Tandura e dalla futura sposa Emma Petterle, l’azione di sostegno delle quali risulterà così efficace da far meritare a entrambe la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Con la liberazione della Sinistra Piave e la Vittoria italiana, Tandura potrà fare ritorno al Comando e presentarsi al Tenente Colonnello Dupont, il quale lo proporrà immediatamente per la Medaglia d’Oro al Valor Militare, che gli verrà giustamente concessa e che andrà a coronare un incredibile medagliere, composto da 5 Croci al Merito di Guerra, 3 Medaglie di Bronzo, 4 Medaglie d’Argento, Medaglia d’Oro al Valor Civico e Croix de Guerre 14-18 belga.
Alessandro Tandura dopo la Grande Guerra
Conclusa la Grande Guerra, la vita da soldato di Alessandro Tandura proseguirà poi in Somalia ed Eritrea, dove si stabilirà definitivamente al termine delle guerre coloniali e dove troverà la morte nel 1937, non prima di aver raccontato le sue avventure in due opere autobiografiche molto avvincenti ed autoironiche, “Tre mesi di spionaggio oltre il Piave“ e “Due centimetri Più alto del Re“. Il destino gli impedirà di partecipare alla Seconda Guerra Mondiale, come avrebbe certamente fatto, ma non impedirà alla Famiglia Tandura di donare alla Patria altro sangue e altro eroismo, dal momento che l’unico figlio di Alessandro Tandura e di Emma Petterle, Luigino Tandura, partigiano nella Brigata Osoppo, cadrà in combattimento il 28 giugno 1944 e verrà anch’egli decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Le parole del Capitano Wedgwood
Tornando per un attimo alla questione della cattiva nomea che i Soldati Italiani hanno sempre dovuto scontare presso gli ambienti militari anglosassoni, Alessandro Tandura e le sue gesta ci consentono di chiudere il cerchio del discorso, attraverso ciò che di lui scrisse il Capitano Wedgwood nel suo libro di memorie di guerra: “Non ho mai visto un uomo più coraggioso di questo Piccolo (Alessandro Tandura non raggiungeva il metro e 60, ndr) soldato italiano, il Più valoroso soldato del mondo”.