Capitano Cesare Battisti, Medaglia d’Oro al Valor Militare
Vita e Morte di un Eroe Alpino, simbolo autentico di quell’amor di Patria che sin dalle origini è uno dei fondamenti del Corpo
Nei centoquarantadue anni trascorsi dal 15 ottobre 1872, data ufficiale di fondazione del Corpo (il più antico corpo di fanteria da montagna del mondo), tra le centinaia di migliaia di uomini che hanno indossato il leggendario cappello con la penna nera, innumerevoli sono stati coloro che si sono resi protagonisti di atti di eroismo, in tutte le più disparate sfaccettature che a questo termine si possono attribuire, in guerra e in pace.
Dinnanzi a una così ampia e consolidata tradizione di spirito di sacrificio e di attaccamento alla Patria, che inizia con la Battaglia di Adua (1° marzo 1896) e continua tuttora nelle aride pietraie dell’Afghanistan, è oggettivamente difficile scegliere tra le tantissime un solo alpino che possa assurgere a simbolo dei valori del Corpo.
Naturalmente, la vastità e la durezza delle operazioni belliche ha fatto sì che in special modo durante le due Guerre Mondiali la Grande Famiglia Alpina abbia regalato all’Italia figure indimenticabili, ciascuna delle quali avrebbe tutti i requisiti per elevarsi al rango di icona del Corpo.
Già durante la Grande Guerra, furono molti gli Alpini a meritare la Medaglia d’Oro al Valor Militare, in vita o alla memoria: basti pensare ad Alessandro Tandura (il primo alpino paracadutista della storia), Italo Lunelli (alpino e alpinista), Stefanino Curti, Manlio Feruglio, solo per citarne alcuni.
Forse, più ancora che la prima è la Seconda Guerra Mondiale ad essere legata a filo doppio alla storia degli Alpini, dal momento che essi si consacrarono definitivamente al ricordo delle indicibili sofferenze e dello smisurato tributo di sangue pagato sul fronte greco albanese e, soprattutto, durante l’epopea della tragica Campagna di Russia: come non ricordare, ad esempio, Don Giovanni Brevi, Enrico Reginato, il gen. Giulio Martinat, Alessandro Pietro Frugoni, Angelo Gabrieli… con la consapevolezza che l’elenco ne dovrebbe comprendere decine d’altri.
Insomma, individuare un Alpino rappresentativo è compito davvero ingrato, oltre che arduo.
Capitano Cesare Battisti
Dovendo però scegliere, si può pensare che una sintesi di patriottismo e di italianità, di spirito di sacrificio, di assoluta dedizione al dovere e di eroismo nel senso più elevato del termine esista e possa non scontentare nessuno: Cesare Battisti, Capitano, Battaglione Vicenza del 6° Reggimento Alpini.
Il ricordo di questa splendida figura di Patriota e di Eroe vuole essere una sorta di omaggio al Corpo degli Alpini, autentica fucina di Eroi e di Italiani.
Battisti nasce il 4 febbraio 1875 a Trento ed è perciò suddito dell’Impero Austroungarico.
La sua è una famiglia nella quale si respira aria di italianità (lo zio materno, il sacerdote Don Luigi Fogolari, era stato condannato a morte per cospirazione e successivamente graziato) ed egli non ne può certo rimanere immune.
Fin dalla giovinezza, infatti, inizia a frequentare circoli irredentisti e, una volta terminati gli studi universitari, si dedica anima e corpo alle due passioni politiche della sua vita: il socialismo e la rivendica dell’italianità della popolazione trentina, perseguita attraverso un’intensa attività propagandistica.
Ritenendo che l’impegno dall’interno delle istituzioni austroungariche possa portare frutti migliori rispetto a una semplice propaganda di piazza, nel 1911 ottiene l’elezione a deputato al Reichsrat, il parlamento di Vienna, per poi partecipare alla Dieta costituente di Innsbruck.
Nel frattempo, si sposa con Ernesta Bittanti e dal matrimonio nasceranno tre figli, Luigi, Livia e Camillo.
Estate 1914
Nell’estate del 1914, i venti di guerra che iniziano a spirare in tutta Europa inducono Battisti a prevedere che il giorno del ritorno del Trentino all’Italia sia vicino e che, di conseguenza, ogni manovra politica sia orami superata: il tempo dei discorsi è finito, saranno le baionette a sancire il ritorno di Trento all’Italia
Naturalmente, egli sente di non poter mancare al proprio dovere di patriota e di dover fare tutto ciò che è in suo potere per il trionfo della causa.
Pertanto, l’11 agosto del 1914, una decina di giorni dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, egli abbandona il territorio austriaco per stabilirsi in Italia, entrando immediatamente in contatto con gli ambienti dell’interventismo, spendendosi dovunque e in ogni modo per manifestare a favore dell’entrata in guerra dell’Italia, tenendo comizi in molte città d’Italia e scrivendo infuocati articoli di stampo patriottico.
Nel maggio 1915, in seguito all’auspicata proclamazione dello stato di guerra tra il Regno d’Italia e gli Imperi Centrali, Cesare Battisti si affretta ad arruolarsi volontario e, da uomo di montagna qual è, in modo del tutto naturale veste la divisa degli Alpini, entrando nel Battaglione Edolo, 50a Compagnia.
Sin dagli inizi, combatte senza risparmio, da vero Alpino, agli ordini di ufficiali che sarebbero anch’essi divenuti famosi: Gennaro Sora (che parteciperà con altri otto alpini all’impresa di Umberto Nobile sul Polo Nord e condurrà uno sfortunato tentativo di salvataggio dei dispersi, dopo il disastro del dirigibile Italia) e Attilio Calvi (secondo di quattro famosi fratelli bergamaschi, tutti Alpini combattenti durante la Grande Guerra).
La sua valorosa condotta gli fa ottenere dapprima un encomio e, poi, la promozione a ufficiale per meriti di guerra, a seguito della quale viene trasferito al Battaglione Vicenza del 6° Alpini.
Sul monte Pasubio
Con il Battaglione Vicenza, combatte sul Monte Baldo e sul Monte Pasubio, una delle vette sacre per gli Alpini della Grande Guerra.
Insieme a lui e quale suo subalterno, col grado di sottotenente, milita negli Alpini in quel periodo un altro patriota irredento, Fabio Filzi, nativo di Pisino (in Istria), successivamente trasferitosi a Rovereto, dove esercita la professione di avvocato.
I due compagni d’arme non possono sapere che il destino li attende inesorabile dietro l’angolo e che li accumunerà in un’identica, amara e gloriosa sorte…
Il 10 luglio 1916, il comando di settore progetta la conquista di uno dei contrafforti del massiccio del Pasubio, il Monte Corno di Vallarsa; l’azione viene affidata al Battaglione Vicenza, che avrà il compito di eliminare le difese austriache sulla vetta, per poi presidiarla, grazie al previsto intervento di due battaglioni di fanteria, che risaliranno i fianchi della vetta, evitando così manovre di aggiramento da parte degli austroungarici.
Gli Alpini assolvono rapidamente al loro compito, conquistando di slancio la cima, ma l’azione non si compie, a causa del mancato intervento della fanteria, impedita nella marcia d’avvicinamento dall’intrico della vegetazione e dalla pronta reazione nemica.
Rimasti soli in vetta, Battisti, Filzi e i loro uomini non cedono un metro, combattendo sino al limite delle possibilità: come tante altre volte nel corso della Storia, gli Alpini non si fanno domande e non tentennano, resistono sul posto, con orgoglio e determinazione, subendo perdite gravissime.
Dopo un lungo e disperato combattimento, non può che calare il sipario: esaurite le munizioni, i pochi superstiti del Battaglione Vicenza – tra i quali vi sono sia Battisti che Filzi – devono arrendersi, lasciando sul terreno moltissimi Alpini.
Mentre lo sparuto drappello di prigionieri viene incolonnato per essere avviato verso le retrovie, un austriaco che è tale giuridicamente ma non per lingua e cultura, Bruno Franceschini – un “Welschtiroler Kaiserjaeger” (cacciatore imperiale tirolese), originario della Val di Non, allora ovviamente austriaca –riconosce e denuncia tanto Battisti quanto Filzi, che perdono immediatamente lo status di prigionieri di guerra per assumere quello di reietti e traditori.
Il processo a Cesare Battisti e Filzi
Immediatamente incatenati, vengono tradotti a Trento e incarcerati, in attesa di processo.
Sin dal loro arruolamento, sia Battisti che Filzi erano perfettamente consci circa la sorte che li avrebbe attesi, in caso di cattura: il suddito austriaco per nascita che vesta la divisa di un esercito nemico commette alto tradimento ed è perciò passibile di condanna a morte per impiccagione.
Questa consapevolezza non li indusse mai in dubbio, né mai scalfì la loro determinazione: così come altri pima e dopo di loro, essi abbracciarono la causa di quella che sentivano come la loro Patria, accettando serenamente di immolarsi per lei, così che il loro sacrificio potesse fungere da esempio e da stimolo a spezzare definitivamente le catene che il “secolare nemico” continuava a imporre su una parte d’Italia.
Il giorno successivo alla cattura, l’11 luglio 1916, Battisti viene condotto su un carretto scoperto al Castello del Buonconsiglio, dove sarà processato da un tribunale militare.
Una sapiente e truculenta regia orchestrata dalla polizia politica austriaca trasforma il breve viaggio dal carcere al Castello in una tristissima via crucis, durante la quale egli è fatto segno di sputi, lancio di oggetti, percosse e insulti; nel dare risalto alla cattura e al prossimo processo, i giornali locali lo definiscono “truffatore”, “bancarottiere”, “traditore e rinnegato”.
Ancora peggiore è il processo, che assume i contorni di una vera e propria farsa, indegna del meticoloso e irreprensibile sistema giudiziario asburgico.
Durante il dibattimento, Battisti tiene un contegno a dir poco esemplare e non solo non nega alcunché, ma conferma a chiare lettere i suoi ideali di italiano dichiarando: “…Ammetto inoltre di aver svolto, sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l’Italia, in tutti i modi – a voce, in iscritto, con stampati – la più intensa propaganda per la causa d’Italia e per l’annessione a quest’ultima dei territori italiani dell’Austria; ammetto d’essermi arruolato come volontario nell’esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l’Austria e d’essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano. In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati. Rilevo che ho agito perseguendo il mio ideale politico che consisteva nell’indipendenza delle province italiane dell’Austria e nella loro unione al Regno d’Italia” (estratto dal verbale del processo).
Anche Fabio Filzi non è da meno, pur essendo molto più giovane.
Pena Capitale
L’esito è scontato: pena capitale per impiccagione, nonostante Battisti chieda alla corte di essere sottoposto alla fucilazione, così da morire da soldato.
Anzi, l’ultimo sfregio che il nemico gli riserva consiste nel privarlo della sua uniforme di Alpino, mandandolo al capestro rivestito di trasandati e anonimi abiti civili, senza nemmeno consentirgli di scrivere alla propria famiglia… Gli si consente soltanto di dettare una lettera indirizzata al fratello Giuliano.
Ma nemmeno questa estrema prova flette in alcun modo il suo coraggio e la sua coerenza.
Secondo quanto si disse successivamente, prima che il cappio gli venisse posto al collo, pare che egli abbia gridato tre volte Viva Trento italiana! Viva l’Italia! Tutto sommato che quest’ultima circostanza sia autentica o meno poco importa: tutte le vicende della sua vita e della sua morte sono quelle tipiche di un autentico Eroe del Risorgimento, ovvero di uno dei tanti Padri di questa nostra disgraziata Patria.
Pertanto, l’unico vero e degno epitaffio per Cesare Battisti non può che essere la motivazione della sua Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria:
«Esempio costante di fulgido valor militare, il 10 luglio 1916, dopo aver condotto all’attacco, con mirabile slancio, la propria compagnia, sopraffatto dal nemico soverchiante, resistette con pochi alpini, fino all’estremo, finché tra l’incerto tentativo di salvarsi voltando il tergo al nemico ed il sicuro martirio, scelse il martirio. Affrontò il capestro austriaco con dignità e fierezza, gridando prima di esalare l’ultimo respiro: “Viva l’Italia!” e infondendo così con quel grido e col proprio sacrificio, sante e nuove energie nei combattenti d’Italia.»