Continua con quest’articolo il viaggio tra i ‘gentiluomini del pennello‘, in alcuni dei luoghi che, un tempo, appartenevano alla Repubblica Serenissima. Le storie che vi racconto si sviluppano in epoche diverse, a volte ci faranno immergere nei lontani tempi del Rinascimento, altre, nel primo dopoguerra.
Venezia, prima metà del 1500
Il millecinquecento è un’epoca molto lontana da noi, i testi di storia ci raccontano che in questo periodo tutta l’Europa e gli altri stati d’Italia erano nemici di Venezia. La Serenissima aveva necessità di porsi alle spalle un territorio, il più vasto possibile, per fronteggiare le evidenti brame di conquista delle potenze straniere in Italia. E doveva anche difendersi da tutti quelli che volevano limitare il suo raggio d’azione, soprattutto come potenza di mare, ma anche per contenere le sue espansioni verso l’entroterra. Nel 1508 sarà addirittura papa Giulio II (il principale committente di Michelangelo, Raffaello, Bramante…) che agirà per ostacolare l’indipendenza di Venezia, facendo pressioni fra tutti i più grandi potenti dell’epoca: il re di Francia Luigi XII, l’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I e il re di Spagna Ferdinando d’Aragona, riuniti nella cosiddetta Lega di Cambrai. Fu proprio quest’alleanza tra potenti che sconfisse Venezia, nel 1509, nella battaglia di Agnadello. Eppure, chi comprese che in quelle ore drammatiche il bene supremo di ognuno era la salvezza della Repubblica, furono i contadini veneti devoti alla repubblica di San Marco. La grande fortuna di Venezia fu di avere dalla propria parte non tanto la nobiltà della terraferma, ma il popolo, i poveri uomini del contado, assieme ai propri nobili, ai soldati schiavoni, ai greci e agli albanesi.
Scriveva un diplomatico francese: ‘se avevano avuto l’ardimento di affrontare in campo aperto i quattro prìncipi più potenti della Cristianità, i veneziani andavano giudicati e stimati uomini potentissimi‘.
Infatti, Venezia riuscirà a riemergere, e dopo alcuni anni ribalterà a suo vantaggio le alleanze precedenti. D’altronde, Venezia è sempre stata ricca di primati e di novità straordinarie: fu la prima città mercantile del mondo e l’unica a essere costruita all’interno di una laguna. Ma, per proteggere la sua storia millenaria e i propri domini ‘stato de tera’ e ‘stato de mar’, Venezia ha sempre dovuto impegnarsi in ogni campo, in un miracoloso e continuo equilibrio di mantenimento di risorse umane, di gestione di capitali e di traffici commerciali.
Nella prima metà del Cinquecento si può dire che, dal punto di vista economico, la città di Venezia sta raggiungendo risultati apprezzabili, sia dal commercio marittimo e sia dagli investimenti fondiari in terraferma. Secondo la stima di un censimento del 1540, Venezia in quegli anni è la città più popolata d’Europa con circa 140.000 abitanti. Equiparabile per l’epoca a una specie di New York: con tutte le inquietudini e le incertezze che derivano dalla convivenza di una moltitudine di gente che proviene da ogni parte del mondo conosciuto. La città è già mèta di un turismo sia colto che godereccio grazie all’aria di libertà che si respira in tutti i campi: dall’universo artistico e letterario, fino ai rapporti sociali tra uomini e donne.
Certamente Venezia è sempre stata una città piena di fascino e naturalmente teatrale, ricca di spunti per ogni forma d’arte e per gli spiriti creativi.
Il Carnevale, che a Venezia arriverà a iniziare già dal mese di ottobre con vari spettacoli e mascheramenti, innescherà ogni tipo di eccesso e la complicazione della libera dimensione dell’amore. Il travestimento diventerà un modo per fuggire, seppure temporaneamente, dalla propria immagine diventando qualcun altro: donne vestite da uomini e uomini vestiti da donne, prostitute travestite da gentildonne e gentildonne travestite da prostitute, ricchi travestiti da accattoni o poveri servitori e poveri artigiani arrangiati come se fossero dei nobili.
Venezia, 1527
La Venezia rinascimentale è la città dove nasce e studia pittura il grande artista veneziano Lorenzo Lotto, che durante la propria vita non avrà il consenso e il successo che avrebbe meritato.
Era uno strano personaggio Lorenzo Lotto, che deve essere sembrato troppo inquieto e saturnino anche per gli ambienti così liberi nei costumi come i salotti delle case patrizie veneziane. E poi a Venezia artisti di grande ingegno e personalità non mancavano, dalla famiglia dei Bellini a Giorgione e Tiziano, fino ad arrivare agli artisti che si erano spostati da Roma a Venezia dopo il Sacco di Roma del 1527.
Probabilmente è proprio in questa data che Lotto inizia il Ritratto di gentiluomo nel suo studio. Il giovane è uno sconosciuto e forse nemmeno veneziano. Ben poco possiamo capire guardando l’ambiente circostante in cui vive questo pallido gentiluomo. Non ci guarda e non rivolge lo sguardo nemmeno verso chi lo sta ritraendo, o così ha voluto Lorenzo Lotto. Sicuramente l’artista conosce bene la stanza e il paesaggio che s’intravvede dalla finestra, ma non ha nessuna intenzione di creare dettagli che possano farci capire dove siamo e con chi. Il gentiluomo e l’artista si conoscono, e tra loro c’é rispetto e la serena consapevolezza di vivere la medesima malinconia. Quando Lotto dipinge questo ritratto ha già quasi quarantasette anni mentre il giovane, dal viso scavato e dalle lunghe mani delicate, sembra senza età: il suo tempo si è fermato in quel luogo e in quel momento. Possiamo intuire, dagli oggetti sul tavolo e sulla parete, gli interessi e le passioni che hanno animato e coinvolto il gentiluomo del ritratto, sentimenti che lo distinguono dalla piccola nobiltà del tempo. Non c’é, nell’atteggiamento e nella posizione rilassata, quasi di abbandono, di questo giovane uomo, nessuna boria o voluto e manifesto distacco, dall’artista che ha di fronte. Questi, infatti, non sono anni in cui gli artisti trovavano sempre ampia considerazione dei propri meriti: a volte, proprio chi si faceva ritrarre, tendeva a evidenziare, con la posa e l’espressione del volto, l’appartenenza ad un rango superiore a quello dell’artista. In questo caso, invece, l’abilità introspettiva del Lotto stabilisce con il giovane un legame prezioso fatto di scambio reciproco, di dialogo e di comuni consapevolezze e sensibilità. Ma verso che cosa, ci si chiede? Probabilmente sulla caducità dell’esistenza, sul destino che lega gli uomini a fatti imprevedibili, sulla bellezza e sull’incanto che un pensiero o un ricordo trascinano in superficie. Chissà.
Lorenzo Lotto unisce in questo ritratto tutta la sapienza tecnica della pittura veneta, animandola di spunti fiamminghi e leonardeschi accumulati e studiati nei suoi viaggi tra la Repubblica Serenissima di Venezia e le terre oltre ai suoi confini.
Eppure, è soltanto la bravura dell’artista che rende così intrigante questo ritratto. Andiamo per gradi. Partiamo dal silenzio e dalla meditazione che alcuni oggetti ci trasmettono: il pesante volume che il giovane sta sfogliando sopra pensiero, gli strumenti per scrivere, le lettere abbandonate sul tavolo, di cui una semi aperta, con evidenti segni di frequenti riletture. La mascolinità di questo giovane uomo, dedito anche ad attività all’aria aperta, si evidenzia con la presenza di un corno da caccia, del paniere e di un uccello morto appeso alla parete. Inoltre, i segni di una vita ricca di interessi culturali, ma anche di sentimenti, sono legati alla presenza di un liuto appeso, di un raffinato scialle frangiato di un lucente color turchino, e dai fragili petali di rosa sparpagliati sul tavolo. Sono tutti oggetti uniti al mistero della vita di questo giovane, quindi possiamo solo immaginare alcuni dei significati per interpretare l’enigma di questo ritratto, come la presenza dell’anello e della fascia d’oro che invece di essere indossati rimangono abbandonati sul tavolo. E ancora: la presenza del ramarro immobile, che sembra osservare il giovane da molto vicino, oppure le chiavi appoggiate sullo stipo colpite da un raggio di luce…
Adesso proviamo a riguardare il ritratto dal punto di vista della composizione, dei colori e della sapiente scelta organizzativa. Due toni freddi legano l’angolo superiore sinistro all’angolo inferiore destro: l’azzurro del cielo e il turchino cangiante dello scialle, il verde che delimita il paesaggio e il verde della pesante tovaglia che ricopre il tavolo. Tutta la parte centrale è intrisa di colori foschi e neutri, ma la sottile fascia di pelle che spunta dalla calzabraga, le mani e il viso, riportano la nostra attenzione sulla figura del giovane uomo, grazie al fascio di luce che Lotto utilizza a questo scopo.
Eppure c’è qualcosa ancora che sorprende.
Proviamo a guardare il ritratto del Gentiluomo con zampino di leone, conservato a Vienna, al Kunsthistorisches Museum, e iniziato e completato probabilmente nello stesso anno, il 1527. Anche questo è il ritratto di un giovane gentiluomo sconosciuto, accompagnato dalla presenza di alcuni simboli. Ma questo era normale in quegli anni, i simboli diventavano messaggi che comunicavano, e sottolineavano, il carattere o le passioni delle persone ritratte. Ma torniamo ai due dipinti e confrontiamoli.
Nel gentiluomo che tiene nella mano sinistra uno strano amuleto di un piccolo animale, c’è l’evidente scopo di farsi intendere, di coinvolgere: egli dirige il proprio sguardo caldo e consapevole verso di noi e l’artista. E’ un bel giovane sicuro del proprio rango e di buon carattere, al punto da far trasparire un leggero buonumore nell’espressione del viso e nella posa del corpo. In questo ritratto ci sono vita e calore che solo la ricchezza, accompagnata da un sano e positivo vigore possono creare.
Lo sfondo è davvero essenziale. I due colori complementari, il rosso e il verde, aumentano l’interesse per la figura in primo piano senza creare distrazioni nell’osservare i riflessi e le trasparenze delle sue pupille, fino alla raffinata eleganza del mantello, ai preziosi anelli, al talismano dorato.
Torniamo all’opera precedente: il Ritratto di gentiluomo nel suo studio. Che strana sensazione di malinconia si avverte nel quadro. Spesso, l’espressione del giovane gentiluomo è stata interpretata come enigmatico e freddo distacco, incomunicabilità. Quale sarà il motivo? Eppure il quadro è pieno, quasi traboccante di simboli. E ogni cosa è al suo posto: il paesaggio, l’interno silenzioso di una casa di severa eleganza, gli oggetti di una vita vissuta, il ritratto di un gentiluomo vestito con l’elegante ricercatezza della nobiltà di provincia… ma c’è ancora qualcosa che può aiutarci a capire. Forse il tempo, che in ogni vita opera danni e saccheggia, in questo ritratto si è fermato. Lotto ha raccolto ciò che poteva di quella vita e di quella storia. L’artista ha avuto la capacità di comprendere dove fermarsi, nel raccogliere e distribuire i ricordi. Altro non ha potuto fare: la morte porta rispetto.
2 – Continua