Francesco Baracca: l’ultimo Cavaliere dell’Aria
La nostra panoramica sugli eventi della Battaglia del Solstizio nel settore del Montello, vissuta attraverso il ricordo dei militari decorati di Medaglia d’oro al Valor Militare, non può che concludersi con il più conosciuto tra loro, il Maggiore Francesco Baracca, l’”Asso degli Assi” dell’allora neonata Aeronautica Militare italiana, la cui figura è riuscita per svariati motivi a sottrarsi almeno in parte al triste oblio che da anni avvolge i fatti della Grande Guerra, soprattutto tra i più giovani.Francesco Baracca nacque a Lugo, provincia di Ravenna, il 9 maggio 1988 da una ricca e nobile famiglia: il padre Enrico era un proprietario terriero, con una spiccata vocazione per gli affari, mentre la madre era la contessa Paolina de Biancoli.
Come molti altri coetanei, provenienti dall’alta società di quei tempi, Francesco decide di intraprendere la carriera militare, entrando nella Regia Accademia Militare di Modena, ove viene ammesso nel 1907 e dalla quale esce dopo due anni, con il grado di sottotenente dell’Arma di Cavalleria.
Gli inizi di Francesco Baracca a Pinerolo
Concluso anche il corso di specializzazione presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo, viene destinato a un’unità assolutamente in linea con le sue origini: il 2° Reggimento “Piemonte Reale Cavalleria”, fondato nel 1692 e all’epoca di stanza a Roma, custode della monarchia piemontese, che accoglie tra le sue fila moltissimi esponenti della nobiltà italiana e si distingue non solo sui campi di battaglia, ma anche nei più rinomati concorsi ippici, come farà da vero cavalleggero anche Baracca.
Ma è nel 1912 che avviene la vera svolta della sua vita: assistendo a un’esercitazione dimostrativa sul campo di Centocelle, viene letteralmente folgorato dall’aviazione e decide immediatamente di entrarvi.
Agli inizi del Novecento, siamo agli albori dell’aviazione e, in quel periodo pionieristico, la nazione all’avanguardia è la Francia, le cui forze armate per prime hanno compreso l’importanza che l’arma avrebbe avuto in futuro.
Per questo motivo, Baracca si reca in Francia nella primavera del 1912, ove segue i corsi di addestramento a Bétheny, volando con un velivolo Nieuport 10 e ottenendo il 9 luglio il brevetto di pilota n.1037.
Tornato in Italia, viene assegnato al Battaglione Aviatori; fin dai primi voli, rivela eccezionali e quasi istintive doti di pilotaggio, ragion per cui viene inviato alla famosa scuola d’aviazione di Parigi, per perfezionare ulteriormente la sua già notevole tecnica.
Siamo ormai ai giorni del “radioso maggio” 1915 e il destino incombe… Francesco Baracca freme per concludere l’addestramento ed entrare in linea.
Francesco Baracca – Inizia la carriera di pilota militare
Finalmente, nel luglio 1915, ritorna in Italia e inizia la sua breve e leggendaria carriera di pilota militare.
Inizialmente, come tutti gli aviatori italiani, anch’ egli si dedica a missioni esplorative e di ricognizione, visto che per i primi veri combattimenti aerei si dovrà attendere ancora qualche mese.
Infatti, durante le fasi iniziali della Grande Guerra, i piloti militari evitavano accuratamente qualsiasi contatto; tutto cambierà, allorché alcuni di essi decideranno che le missioni di ricognizione nemiche vadano contrastate, dando così vita a duelli aerei combattuti a colpi di pistola, lanci di pietre (!) e persino di corde (per tentare di impigliarle sull’elica dell’avversario). La vera rivoluzione coinciderà però con l’invenzione francese della mitragliatrice sincronizzata, capace di sparare attraverso le pale dell’elica: da quel momento, il combattimento aereo diverrà una semplice, quasi banale, questione di vita o di morte (la struttura degli aerei dell’epoca non offriva alcuna protezione al pilota, sicché, perlopiù, i duelli si concludevano con la sua morte, crivellato dalle mitragliatrici dell’avversario), che nella cruda contabilità di fine guerra si tradurrà in una percentuale di perdite tra i piloti da combattimento di tutte le nazioni belligeranti pari al 77% del totale impiegato.
Baracca si trova immediatamente a suo agio in questo mondo, ma lo interpreta a modo suo, in spirito cavalleresco: pur iniziando subito ad abbattere velivoli nemici – ottiene la prima vittoria nell’aprile 1916, sopra Gorizia – fino all’ultimo dirà “E’ all’apparecchio che io miro, non all’uomo”.
La promozione a capitano
Nella primavera dell’anno seguente, viene promosso capitano, mentre all’attivo ha già sette vittorie individuali e tre in collaborazione.
Il primo maggio 1917, fonda la celeberrima 91^ Squadriglia, passata alla storia come la “Squadriglia degli Assi”, composta com’è dai migliori piloti italiani dell’epoca, che Baracca ha personalmente scelto: i più noti sono Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria, Gaetano Aliperta, Bortolo Costantini, Guido Keller, Giovanni Sabelli, Enrico Perreri e Ferruccio Ranza.
E’ durante la militanza nella 91 Squadriglia che Baracca fa dipingere sul suo aereo Nieuport 17 – costruito su licenza dall’italiana Macchi – il suo leggendario stemma, il “Cavallino rampante”, per ricordare la sua Arma di appartenenza.
Alla vigilia di Caporetto, egli ha già conseguito diciannove vittorie, con ciò diventando di gran lunga il primo pilota italiano da combattimento.
Francesco Baracca pare – e forse finisce inconsapevolmente per sentirsi – invulnerabile, ma non può sapere che il suo personale conto alla rovescia procede inesorabile.
Baracca Comandante
Francesco Baracca nella veste di comandante della 91a “Squadriglia degli Assi”, con un personale record di vittorie in continuo aumento: nel settembre 1917 erano diciannove, alla fine di ottobre saranno già diventate ventiquattro.
Questa escalation apparentemente inarrestabile, il 6 ottobre 1917, gli vale la promozione a Maggiore.
Tanta e tale è la sua abilità di pilota, che le quattro vittorie di ottobre saranno addirittura due abbattimenti “doppi” in due giorni diversi: il Nieuport 17 giallo, contraddistinto dallo stemma del Cavallino Rampante, diventa il simbolo dell’aereonautica italiana, rispettato e, soprattutto, temuto dai suoi nemici.
Si può tranquillamente dire come, nell’autunno del 1917, nei cieli italiani della Grande Guerra la bilancia penda sempre di più a favore delle armi italiane, ma, allora, l’arma aerea non poteva essere fondamentale come lo è oggi; però, se ancora oggi, la più potente macchina bellica del mondo, l’esercito USA, non ha difficoltà a sostenere che le battaglie si vincono grazie ai “boots on the ground” (gli scarponi sul terreno, ossia con la fanteria), figuriamoci nel 1917, quando manca ancora qualche mese all’entrata in scena dei primi carri armati e l’unica tattica conosciuta consiste nello scagliare migliaia di uomini attraverso la terra di nessuno, in faccia alle mitragliatrici, sperando che qualcuno di essi riesca ad arrivare dentro la trincea nemica…
In sostanza, nonostante il loro acclarato valore, Francesco Baracca e i suoi colleghi nulla possono fare per evitare l’epocale disastro di Caporetto.
Francesco Baracca – Il nuovo aereo
Il 26 ottobre, nel diario che con meticolosa precisione da sempre tiene, annota con grande amarezza quanto gli sia costato abbandonare il campo di aviazione friulano, che era stato la base di lancio di tante vittoriose missioni di combattimento.
Stabilizzatosi il fronte, lungo la linea Piave – Massiccio del Grappa, dopo che gli Italiani sono usciti vittoriosi dalla sanguinosa Battaglia d’Arresto, combattuta tra il novembre e il dicembre 1917, anche l’aviazione si riorganizza, innanzitutto dotandosi di nuovi e più moderni mezzi.
Infatti, dopo essersi trasferito con i suoi piloti nel nuovo campo di aviazione di Quinto di Treviso, Baracca inizia a volare con il nuovo Spad XIII B, l’aereo che più di ogni altro in precedenza pilotato si salderà indissolubilmente al mito dell’Asso degli Assi.
Come aveva lasciato nei tristi giorni della disfatta di fine 1917, così riprende tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 1918: da ogni missione rientra sempre vittorioso.
A fine aprile 1918, le vittorie sono già trenta.
Quasi aleggiasse un fosco presagio, il Comando Supremo gli impone di cessare l’attività di combattimento, per dedicarsi al comando della Squadriglia e all’addestramento dei giovani piloti.
La pausa, tuttavia, dura poco, dato che egli insiste per ritornare ai ruoli di combattimento, cosa che gli verrà concessa di lì a qualche mese.
Nel frattempo, anche il suo medagliere è cresciuto: la medaglia d’argento concessagli nel dicembre precedente, viene commutata in oro, dopo la trentesima vittoria, ottenuta volando sopra il Monte Kaberlaba, sull’Altopiano di Asiago; oltre alla massima ricompensa, egli ha già ottenuto una medaglia di bronzo, tre d’argento, la croce di cavaliere dell’ordine militare di Savoia e la croce di cavaliere ufficiale della Corona Belga.
Ormai, in cielo non esiste più confronto tra l’aviazione imperiale e gli Alleati ed è lo stesso Baracca ad annotarlo, rilevando come ogni aereo nemico si presenti sopra le linee italiane venga sistematicamente abbattuto, dai piloti italiani o dagli alleati inglesi, la cui abilità egli loda espressamente.
La Battaglia del Solstizio
Ancora una volta, ciò che accade in cielo non rispecchia quanto si verifica sul terreno: sono giunti i giorni fatali del Giugno 1918, quando si scatenerà l’immane Battaglia del Solstizio, il cui esito risulterà decisivo per l’intero conflitto.
Il 15 giugno, mentre a terra le fanterie austroungariche hanno appena lanciato il loro ultimo disperato assalto, nel cielo sopra San Biagio di Callalta, Francesco Baracca coglie la sua ultima vittoria, la trentaquattresima, ai danni di un moderno apparecchio austriaco, un Albatros DIII.
Ancora quattro giorni, di volo, di battaglia, di coraggio e poi di Francesco Baracca non resterà che la leggenda immortale.
In quei quattro giorni che lo separano dalla fine, deve dedicarsi a una missione assolutamente sgradita a lui, come del resto a tutti i suoi colleghi: l’appoggio alle truppe di terra; ciò significa niente più cavallereschi duelli aerei, ma uno “sporco” lavoro di mitragliamento delle truppe nemiche a terra, cercando di colpire le trincee d’infilata, così da causare il maggior numero di perdite.
E’ un’attività estremamente rischiosa, perché significa abbassarsi il più possibile, per passare a volo radente sopra le trincee nemiche; in quei momenti di estrema vulnerabilità, l’aereo è fatto segno del fuoco di decine di fucili e di mitragliatrici.
Con un aereo di legno e tela, questa grandine di fuoco, pur imprecisa, può diventare letale.
Fatalmente, anche Baracca, rapito al suo ruolo di prestigiatore dei cieli, incontra la pallottola del destino, che gli sfonda la tempia destra, mentre altri proiettili colpiscono il motore e incendiano il velivolo, che precipita sul Montello.
I particolari della sua fine rimangono tuttora non del tutto chiariti, dal momento che si attribuirono i meriti del suo abbattimento tanto dei soldati a terra – un mitragliere e un fuciliere – quanto l’equipaggio di un aeroplano biposto austriaco.
Secondo alcuni, invece, egli si sarebbe suicidato, sparandosi un colpo con la rivoltella d’ordinanza, onde evitare di morire bruciato, dopo che il suo aereo si era incendiato.
Francesco Baracca – La morte
A battaglia conclusa, il 24 giugno 1918, il cadavere di Francesco Baracca viene ritrovato nel folto della boscaglia montelliana, in località Busa delle Rane, e riportato al campo di Quinto di Treviso, dove verranno celebrate le esequie militari, alla presenza del Vate Gabriele d’Annunzio, che pronuncerà una vibrante allocuzione funebre.
Da quel momento, Baracca esce dalla quotidianità della Guerra ed entra nel Mito, tanto profondamente da essere ancor ‘oggi forse il più noto tra gli Eroi del primo conflitto mondiale, ricordato addirittura da Francesco de Gregori in una malinconica ballata intitolata “Spad VII S2489”.
A consolidare la fama e il ricordo di Francesco Baracca contribuirà non poco l’adozione del suo Cavallino Rampante da parte di Enzo Ferrari, come emblema delle sue leggendarie autovetture, dopo che nel 1923 la madre dell’Eroe aveva invitato Ferrari ad utilizzarlo, dicendogli che quel simbolo gli avrebbe portato fortuna.
Così certamente è stato e ci piace pensare che le automobili della Casa di Maranello, autentico orgoglio ed eccellenza d’Italia, siano diventate ciò che sono anche grazie a quel Cavallino, simbolo di audacia, talento, coraggio ed eroismo purissimo.